La concorrenza illecita tra imprenditori sul territorio e online

Nel precedente articolo (clicca qui per leggerlo), era stato che, per la sussistenza della concorrenza sleale, è necessario che due imprese siano in (effettiva) concorrenza tra loro, cioè offrano sullo stesso mercato beni o servizi idonei a soddisfare bisogni identici o simili.
Tale fattispecie è facilmente individuabile quando due imprese offrano beni/servizi identici e operino sullo stesso territorio.
Ma come è possibile stabilirlo? Soprattutto nell’era moderna, caratterizzata dalla prevalenza dell’e-commerce, sempre più vitale nell’era della globalizzazione.
Il chiarimento della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 626 del 10.01.2025, ha chiarito che il presupposto dell’illecito concorrenziale è la comunanza di clientela: essa non è data dall’identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti (uguali ovvero affini o succedanei a quelli posti in commercio) che sono in grado di soddisfare quel bisogno.
Ne deriva che l’assenza di una comunanza di clientela impedisce ogni concorrenza e, dunque, ogni abuso del relativo diritto (conforme, anche Cass. Civ. 14 febbraio 2000, n. 1617).
Per questo – secondo la Corte, che segue l’orientamento prevalente (per tutte: Cass. Civ. 22 ottobre 2014, n. 22332; Cass. Civ. 22 luglio 2009, n. 17144; Cass. Civ. 14 febbraio 2000, n. 1617) – qualora vi sia comunanza di clientela, sussiste un rapporto di concorrenza anche tra quegli imprenditori che si avvalgano, per la commercializzazione degli stessi prodotti, di differenti canali di distribuzione (nella specie: l’offerta in punti di vendita dislocati sul territorio e l’offerta online).
Da questa massima si deduce che la modalità di commercializzazione del prodotto non riveste alcun rilievo decisivo per la sussistenza di un rapporto di concorrenza.
Infatti, l’identità del sistema di vendita adottato da due imprenditori che si rivolgano a bacini di clientela non coincidenti, nemmeno in via potenziale, non fa sorgere il rapporto di concorrenza; all’opposto, tale rapporto è da ravvisarsi ove il medesimo prodotto, attraverso diversi canali di distribuzione, sia indirizzato a quanti avvertano il medesimo bisogno di mercato e possano essere quindi interessati a procurarselo.
Il caso esaminato dalla Corte
La Corte era stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato da DML s.p.a. (socio di GRE s.p.a., società che coordina varie imprese ed è titolare della licenza d’uso esclusiva del marchio Trony), che chiedeva l’accertamento della commissione in proprio danno, da parte di E. DLE s.p.a, F.S.P. s.r.l., F.S. s.p.a. e C.S. s.r.l., di atti di concorrenza sleale.
In particolare, secondo DML s.p.a., la E. DLE aveva trasmesso alle altre società collegate, informazioni commerciali riservate, acquisite all’interno della GRE s.p.a., sui prezzi da praticare sui prodotti oggetto di promozione di Trony, affinché le società collegate mettessero in vendita online gli stessi articoli, a condizioni ribassate rispetto a quelle promozionali approvate da GRE.
Nelle motivazioni dell’ordinanza citata, la Corte di Cassazione ha chiarito che la clientela del mercato dei prodotti elettronici deve essere considerata unitariamente, in una prospettiva potenziale, tenendo conto dell’«esito di mercato fisiologico e prevedibile» dell’attività svolta, indipendentemente dal fatto che l’acquisto dei medesimi si attui in punti di vendita diffusi sul territorio o attraverso un circuito online.
Invero, sussiste un rapporto di concorrenza anche tra operatori che offrano i loro prodotti attraverso distinte modalità di commercializzazione.