Ambasciate e mancato pagamento IRPEF. La giurisprudenza recente dà ragione ai dipendenti

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Ambasciate e mancato pagamento IRPEF. La giurisprudenza recente dà ragione ai dipendenti

Ambasciate e mancato pagamento IRPEF. La giurisprudenza recente dà ragione ai dipendenti

La recente giurisprudenza ha confermato l’esenzione dal pagamento delle imposte da parte dei dipendenti delle ambasciate e dei consolati

In un precedente articolo (clicca qui per leggerlo) avevamo approfondito il tema dell’omessa dichiarazione dei redditi da lavoro percepiti dai dipendenti italiani delle Ambasciate e dei Consolati, ai fini del pagamento dell’IRPEF, in seguito ai numerosi avvisi di accertamento inviati dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione circa quattro anni fa.

In tale articolo evidenziavamo l’esistenza di un contrasto giuridico tra la normativa italiana (che prevede l’imposizione fiscale di tutti i redditi delle persone fisiche residenti o domiciliate in Italia, indipendentemente dalla nazionalità) e il principio  stabilito dall’art. 49 della Convenzione di Vienna, che prevede la completa esenzione fiscale dei redditi dei membri delle Ambasciate e dei Consolati, a prescindere dalla nazionalità e dal Paese di residenza.

Concludevamo affermando come tutte le eccezioni e restrizioni (cittadinanza, residenza, ecc.) previste nelle norme nazionali, in contrasto con il principio previsto dalla Convenzione di Vienna, siano inapplicabili e, di conseguenza, rendano illegittime le richieste formulate dall’Agenzia delle Entrate negli avvisi di accertamento.

Nei diversi casi affrontati, sia la Commissione Tributaria Provinciale di Roma, sia la Commissione Tributaria Regionale del Lazio hanno accolto i ricorsi presentati dal nostro Studio contro gli avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate ad alcuni dipendenti dell’Ambasciata Indonesiana presso la Santa Sede, confermando le osservazioni sopra riportate.

La decisione della CTP di Roma

In particolare, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma, nella sentenza n. 8039/2019, ha affermato il principio secondo il quale le norme previste nelle convenzioni internazionali siano gerarchicamente superiori a quelle previste nelle fonti nazionali con esse contrastanti, rendendo pertanto inapplicabili quest’ultime.

Il caso oggetto di esame era quello di un dipendente dell’Ambasciata d’Indonesia presso la Santa Sede, sita in Roma, che aveva ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate in conseguenza del mancato pagamento dell’IRPEF e delle addizionali comunali e provinciali.

La Commissione Tributaria Provinciale – annullando gli avvisi di accertamento – ha fatto proprie le motivazioni formulate nel ricorso, affermando l’evidente contrasto tra la normativa italiana applicabile a tutti i cittadini percepenti redditi sul territorio italiano (artt. 2 e 3 del TUIR) e la Convenzione di Vienna del 1963, nonché la Convenzione bilaterale tra Italia e Indonesia sul divieto della doppia imposizione fiscale.

In particolare, nel nostro ricorso, veniva affermato che:

  • Il dipendente fosse un cittadino italiano, residente in Italia, ma esentato pagamento delle tasse sulla retribuzione, ottenuta come corrispettivo dei servizi prestati, in quanto la prestazione lavorativa veniva svolta presso l’Ambasciata di Indonesia accreditata presso la Santa Sede (quindi NON presso l’Italia e, quindi, non in territorio italiano).
  • l’immobile – sede di lavoro del dipendente – sito in Roma, fosse di proprietà dell’Ambasciata di Indonesia e, risultando accreditato presso la Santa Sede, fosse soggetto al principio dell’extra-territorialità delle rappresentanze diplomatiche.

La conferma in appello da parte della CTR del Lazio

Anche la Commissione Tributaria Regionale del Lazio – chiamata a decidere sul ricorso in appello presentato dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza della CTP di Roma sopra discussa – ha confermato, con la sentenza n. 1627/2022, le stesse motivazioni espresse nella decisione presa dalla CTR di Roma e il conseguente annullamento degli avvisi di accertamento notificati al contribuente.

Conclusioni

Tali decisioni rappresentano una decisa sterzata della giurisprudenza verso il riconoscimento di un evidente contrasto tra la normativa nazionale e quella internazionale che, ad oggi, ha portato solo ad una moltitudine di avvisi di accertamento e ad altrettanti ricorsi alle Commissioni Tributarie da parte dei funzionari delle Ambasciate e dei Consolati.

A parere di chi scrive, le richieste di versamento dell’IRPEF e delle addizionali nei confronti dei membri di Ambasciate e Consolati sono, nella maggior parte dei casi, prive di fondamento giuridico e legittimano il ricorso presso le Sedi giudiziarie competenti.

Tuttavia, è bene ricordare come le posizioni lavorative dei dipendenti delle Ambasciate e dei consolati non siano tutte uguali tra loro e necessitino di una preventiva consulenza ad hoc per stabilire l’esenzione o meno dalle imposte nazionali e locali.

I rimedi stragiudiziali e giudiziali

Va ricordato, comunque, che il contribuente può opporsi agli avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate, notificando all’Ente predetto, con l’assistenza di un Avvocato, un ricorso/reclamo – nel caso in cui le somme contestate siano inferiori ad € 50.000,00 – o solamente un ricorso (in caso di somme superiori) e chiedendo l’annullamento o la rettifica dell’avviso di accertamento.

In caso di omessa/negativa risposta da parte dell’Agenzia delle Entrate entro i successivi 90 (novanta) giorni,  il cittadino dovrà depositare il suddetto ricorso presso la Commissione Tributaria Provinciale territoriale nei successivi 30 giorni.

Il nostro Studio legale offre a tutti i funzionari, gli agenti diplomatici e i dipendenti delle Ambasciate e dei Consolati che abbiano ricevuto un avviso di accertamento per il mancato versamento dell’IRPEF e delle addizionali, una completa consulenza giuridica e la necessaria assistenza legale in tutte le sedi giudiziarie competenti.

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