La decadenza del marchio per ingannevolezza sopravvenuta

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La decadenza del marchio per ingannevolezza sopravvenuta

La decadenza del marchio per ingannevolezza sopravvenuta

Nel precedente articolo “La capacità distintiva del marchio e lo sfruttamento del “secondary meaning abbiamo analizzato le caratteristiche che un segno deve possedere per essere registrato come marchio, nonché i requisiti che determinano la differenza tra un marchio forte e uno debole.

In questo articolo analizzeremo un caso giurisprudenziale riguardante una delle circostanze che possano determinare la decadenza di un marchio e come la Corte di Cassazione, recentemente, abbia formulato un importante principio di diritto in relazione alla norma prevista dall’art. 14 del Codice della Proprietà industriale.

La normativa

La disposizione appena richiamata prevede:

  • al primo comma, lett. b), che “non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa … i segni idonei ad ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi, ovvero sulla tipologia di marchio”;
  • al secondo comma, lett. a), che il marchio d’impresa decade “se sia divenuto idoneo ad indurre in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza dei prodotti o servizi, a causa di modo e del contesto in cui viene utilizzato dal titolare o con il suo consenso, per i prodotti o servizi per i quali è registrato”.

La decadenza, dunque, avviene quando il marchio, che inizialmente possedeva (e ha mantenuto per un determinato periodo temporale) tutti i requisiti previsti dalla legge per poter essere registrato e utilizzato come tale, tragga in inganno il pubblico in merito alla qualità, la natura o la provenienza dei prodotti/servizi ad esso associati.

Ricordiamo, infatti, che un segno, per essere registrato come marchio, deve avere (tra gli altri requisiti) carattere distintivo: deve essere percepito dal pubblico dei consumatori come uno strumento d’identificazione dell’origine commerciale dei prodotti o dei servizi per cui lo stesso sia stato registrato, e di distinzione degli stessi da quelli dei concorrenti.

Qualora, nel periodo di utilizzo/sfruttamento del marchio, quest’ultimo tragga in inganno i consumatori in merito alla qualità/provenienza dei prodotti o servizi che il pubblico identifica e associa ad esso, l’ordinamento interviene a tutela dei consumatori, prevedendo la decadenza del marchio, l’estinzione del medesimo e la conseguente cancellazione dal relativo registro.

La vicenda

Nel caso oggetto di analisi, la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dal noto stilista Alviero Martini contro la decisione della Corte d’Appello di Milano che aveva ritenuto infondata la richiesta, da parte dello stilista, di dichiarare l’inadempimento, da parte della Alviero Martini S.p.a., di un accordo transattivo intervenuto tra le parti per regolare l’uso del marchio patronimico “Alviero Martini”, ceduto dallo stilista alla predetta società contestualmente alla sua fuoriuscita.

Secondo Alviero Martini:

  1. la sua ex società non aveva rispettato l’accordo, che prevedeva la pubblicazione della notizia dell’uscita dello stilista dalla Alviero Martini S.p.a. e la sua totale estraneità ad essa e ai prodotti dalla stessa commercializzati;
  2. la Corte d’Appello, inoltre, avrebbe dovuto dichiarare la decadenza dei marchi della società che comprendono il patronimico “Alviero Martini” e gli altri marchi (es.: “Prima Classe”), per sopravvenuta ingannevolezza e, per l’effetto, inibirne l’uso alla Alviero Martini S.p.A.;

Le motivazioni della Suprema Corte

Con ordinanza n. 20269 del 23 giugno 2022, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dallo stilista, affermando, riguardo ai punti:

1. (mancato rispetto dell’accordo transattivo)

che la clausola n. 25 dell’atto di transazione lasciava libere entrambe le parti “di pubblicare, attraverso qualunque mezzo di diffusione”, la notizia della cessione dei rapporti tra le parti, senza determinare “in modo analitico il contenuto o la tempistica di tale comunicazione, bensì prevedendo solo a carico della Alviero Martini S.p.A. l’obbligo di comunicare la predetta cessione anche sulla home page del proprio sito internet.

Pertanto la Corte d’Appello, accertando che la suddetta notizia era stata pubblicata sia sul sito web della società, sia su noti quotidiani e riviste – per poter raggiungere un pubblico molto vasto – aveva correttamente rigettato le richieste dello stilista.

2. (decadenza dei marchi patronimici della società per sopravvenuta ingannevolezza)

che la Corte d’Appello di Milano aveva accertato la mancata dimostrazione, da parte dello stilista, della sussistenza di un effettivo inganno in ordine alle caratteristiche qualitative dei prodotti contraddistinti dal medesimo marchio.

Inoltre, secondo la Corte, la circostanza che i consumatori, in seguito alla cessione dei marchi dallo stilista alla società e all’uscita del primo dalla seconda, potessero “(fisiologicamente) ricondurre gli articoli della società ad Alviero Martini”, non rappresentava, di per sé, un fenomeno ingannevole, ai sensi dell’art. 14, c.p.i., comma 2)”.

Infatti, anche se “dietro” alla creazione/qualità dei prodotti o servizi collegati al marchio non vi sia più il contributo dello stilista, non costituisce di per sé inganno per i consumatori, se viene accertato che le caratteristiche e la qualità di quei prodotti/servizi continuino ad essere garantite dall’attuale titolare del marchio.

In questo caso, la Corte di Appello di Milano, da un lato, aveva accertato che l’accordo transattivo non prevedeva alcun obbligo di mantenimento qualitativo o la facoltà, da parte di Alviero Martini, di effettuare un perdurante controllo sulla qualità dei prodotti. Dall’altro, aveva escluso che, in seguito all’uscita dello stilista dalla società, vi fosse stato un peggioramento qualitativo dei prodotti, tale da determinare l’ingannevolezza sopravvenuta e la conseguente decadenza dei marchi.

Il principio di diritto

La Corte di Cassazione, infine, ha enunciato il principio di diritto, secondo cui

in tema di cessione del marchio patronimico, l’art. 14, comma 2, lett. a), del c.p.i., nel prevedere la generale decadenza del marchio che sia divenuto idoneo a indurre in inganno il pubblico circa la qualità o provenienza dei prodotti, implica non semplicemente che si stabilisca l’eventualità di un peggioramento purchessia dei livelli qualitativi dei prodotti contraddistinti, ma che sia accertata una relazione eziologica col modo e col contesto in cui il marchio viene utilizzato dal nuovo titolare; l’accertamento di tali profili – il modo e il contesto –, e della stessa relazione eziologica, è questione di fatto, e il relativo giudizio, se debitamente motivato, resta sottratto al sindacato di legittimità”.

Secondo la Corte, dunque, non è sufficiente un peggioramento della qualità dei prodotti o servizi collegati al marchio per determinare l’ingannevolezza del pubblico circa la provenienza o qualità degli stessi e la conseguente decadenza del marchio.

È necessario, piuttosto, accertare la relazione esistente tra il (presunto) peggioramento della qualità/provenienza dei prodotti e le modalità (e il contesto) con cui il marchio viene utilizzato dal nuovo titolare (in questo caso, la Alviero Martini S.p.A.).

Una volta accertata tale relazione e valutate le conseguenze sul mercato e sui consumatori, sarà possibile accertare la sussistenza di un’effettiva ingannevolezza del marchio e valutare la decadenza del medesimo.

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